lunedì 27 aprile 2020

Ingegneria antica: il Parco degli Acquedotti

Tra i numerosi parchi di Roma, uno è sicuramente unico al mondo. E’ il Parco degli Acquedotti: si trova nel quartiere Appio Claudio, a pochi passi da via Tuscolana, dove si apre un’area di campagna vasta 240 ettari, attraversata da sei degli undici acquedotti costruiti in antichità!


Roma veniva definita la “Regina Aquarum”...la popolazione aveva a disposizione circa 1.000 litri di acqua al giorno per ciascun cittadino. Una quantità enorme, dovuta alla grande abilità costruttiva ed ingegneristica dei romani che li portò a inventare un incredibile sistema. Il primo passo consisteva nell’individuare la sorgente che veniva scelta per la posizione, la temperatura e il sapore dell’acqua. Quindi le acque venivano convogliate in bacini e si iniziava a scavare il tunnel sotterraneo, spesso tortuoso per aggirare le montagne, e con una minima ma costante pendenza. La galleria diventava lo specus, cioè la conduttura, le cui pareti interne erano rivestite di cocciopesto e intonaco per rendere lisce le pareti e permettere all’acqua di scorrere più velocemente assorbendo meno impurità possibili. Per ovviare al differente livello del terreno durante il percorso, soprattutto nei pressi della città dove è decisamente più basso della sorgente, lo specus veniva fatto fuoriuscire dal terreno, sorretto dalle imponenti arcate che garantivano la necessaria pendenza dell’acqua e che rendono queste opere ancora oggi famose in tutto il mondo. 


Proprio all’interno del Parco degli Acquedotti si può vedere affiorare lo specus dalla campagna e innalzarsi sino a quasi trenta metri (nel punto più alto) per consentire all’acqua di arrivare in città con la sola forza acquisita nel suo scorrere naturale. 

Utilizzando l’ingresso al parco all’incrocio tra via Lemonia e via Tito Labieno, il primo acquedotto che si incontra è l’Acqua Marcia (144 - 140 a. C.): blocchi di peperino e tufo giallo e rosso che compongono basse arcate su cui poggia lo specus. Da questo punto, l’acqua percorreva gli ultimi 9km del suo viaggio (lungo ben 91km e iniziato dalle sorgenti del fiume Aniene a Marano Equo) su archi a vista di cui restano poche tracce a causa delle distruzioni cinquecentesche. Costruire acquedotti richiedeva una grande spesa, per questo i romani tendevano a far passare più condutture sullo stesso percorso. Sui blocchi di pietra dell’Acqua Marcia infatti si vedono file di mattoni corrispondenti ad altri due acquedotti: l’Acqua Tepula (125 a. C.) e l’Acqua Julia (33 a. C.) provenienti entrambi da sorgenti sul Monte Tuscolo, con percorso parallelo sino alle piscine limarie della zona di Capannelle e poi sovrapposti per sfruttare le arcate dell’Acqua Marcia. Più avanti, nel parco, si conserva anche una cisterna, che era alimentata da questo acquedotto, ad uso privato della vicina Villa delle Vignacce di Quinto Servilio Pudente (II secolo d. C.).


Delle scalette consentono di scavalcare l’acquedotto e, da qui, spiccano gli imponenti resti di un’altra opera, l’Acquedotto Claudio.


Con l’avvento dell’Impero, l’acqua divenne fondamentale per abbellire e rinfrescare le ricche dimore aristocratiche. Ne servì sempre di più e con Ottaviano Augusto vennero costruiti ben tre acquedotti (Julia, Vergine e Alsietina) e fu lo stesso imperatore ad affidare al suo braccio destro Marco Agrippa il ruolo di curator aquarum, magistrato responsabile dell’apparato idrico cittadino. Dopo di lui fu il discusso Caligola a iniziare la costruzione di altri due acquedotti, conclusi dal successore Claudio nel 52 d. C.. Le imponenti arcate del Parco sono proprio quelle dell’Acqua Claudia, a cui si sovrappone lo specus dell’Anio Novus la cui acqua passava a circa un metro sopra il precedente. 


L’Anio Novus veniva detto così per distinguerlo da un più antico acquedotto, l’Anio Vetus (272 - 269 a. C.), il cui percorso era totalmente sotterraneo e le cui tracce sono state individuate sotto via Lemonia. L’acqua veniva presa dal fiume Aniene, ma ad altezze diverse. Solo nella zona di Capannelle i due specus dell’Acqua Claudia e dell’Anio Novus si sovrapponevano percorrendo quasi 14km sugli archi, sino all’Esquilino, a Porta Maggiore
Se vi capita di passare con calma nei pressi di quello che oggi è diventato uno snodo del traffico romano, potrete notare le due condutture che corrono proprio sopra gli archi della Porta. Questo era il punto da cui i nostri acquedotti entravano in città. A ben vedere, poco oltre si notano altri archi, quelli dell’Acqua Marcia con gli specus della Tepula e della Julia. Da qui l’acqua procedeva verso il resto della città, raggiungendo gli altri colli, come il Viminale o il Palatino, destinata alle residenze imperiali e aristocratiche, ma anche alle numerose fontane pubbliche.

Nel corso dei secoli queste opere dell’ingegneria romana sono andate in gran parte perdute a causa della mancanza di manutenzione ma soprattutto delle distruzioni ad opera dei barbari e dei papi. Nel 539 i Goti di Vitige, giunti alle porte di Roma, crearono il loro accampamento, noto come Campo barbarico, nel triangolo di terra definito dai due incroci dell’Acqua Claudia e della Marcia. Per costringere la popolazione alla resa decisero di privarla proprio dell’acqua tagliando i due acquedotti. Da quel momento iniziò la decadenza delle strutture. L’Aqua Claudia fu restaurata nel medioevo ma la portata d’acqua ormai non era più quella di epoca imperiale. L’Aqua Marcia invece subì un destino ancora più crudele: nella fine del cinquecento papa Sisto V fece costruire un acquedotto facendolo passare sullo stesso percorso di quello antico. L’acqua però arrivava ad un livello inferiore e il papa non ebbe nessuna remora a far distruggere quelle “inutili anticaglie” per recuperare materiali e far spazio alla sua Acqua Felice.

Passeggiando nel parco, noterete una sorta di fiumiciattolo che scorre in un fosso artificiale. In realtà questo era un acquedotto a cielo aperto, l’Acqua Marana o Mariana, realizzato per volere di papa Callisto II nel 1122 per aiutare i contadini ad irrigare i campi. L’acqua attraversava la città per sfociare nel Tevere, alimentando anche il mulino della Torre della Moletta all’interno del Circo Massimo. Curiosità: il termine “marrana” con cui si indicano piccoli corsi d’acqua deriva proprio da questo acquedotto. 


Il corso attuale non è più quello originale. Dal 1957 l’acqua è stata fatta confluire nel fiume Almone che attraversa il Parco della Caffarella e, a seguito di interventi voluti dall’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica, dal 2011 il suo percorso è stato deviato ulteriormente. Gli scavi nel fossato hanno portato alla luce i basoli dell’antica via Latina, arricchendo il Parco degli Acquedotti di un altro tassello della storia di Roma.

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