giovedì 14 gennaio 2021

Il rione Monti: storia e curiosità

 

I rioni di Roma mantengono in gran parte gli antichi confini delle regiones individuati all’epoca dell’imperatore Augusto per migliorare l’amministrazione della città. Monti corrisponde alla terza regio, che era intitolata alle divinità egizie Iside e Serapide, il cui tempio sorgeva sul colle Oppio, nei pressi del Colosseo. La regio includeva parte di ben quattro dei sette colli, Quirinale, Viminale, Esquilino e Celio: da questa caratteristica derivò il nome di Monti affermatosi durante il medioevo. 


Passeggiando per i vicoli del rione c’è la possibilità di conoscere la storia della città, dall’antichità all’era moderna. Basta lasciarsi affascinare dagli imponenti ruderi delle Terme di Traiano sul colle Oppio, le più grandiose dell’epoca, e dei Fori imperiali con l’eccezionale muro di fondo del Foro di Augusto, alto ben 30 metri, costruito per proteggere la piazza dai frequenti incendi che distruggevano la Suburra, il quartiere popolare che si estendeva proprio sulle pendici dei colli. La Suburra (da sub-urbe, sobborgo della città) era la zona malfamata, dominata dalle insule che ospitavano locande e lupanari che fecero da sfondo alle notti insonni e viziose dell’imperatrice Valeria Messalina, che qui si prostituiva con gladiatori e marinai usando il nome di Licisca. 



La splendida salita dei Borgia, con il balconcino rinascimentale da cui il poeta Lord Byron immaginava affacciarsi la bella e pericolosa Lucrezia, nasconde la storia crudele della morte del sesto re di Roma, Servio Tullio. Secondo la tradizione, la salita mantiene il tracciato dell’antichissimo Clivus Sceleratus, chiamato così a memoria dell’atto scelerato di Tullia che qui passò più volte con il suo carro sul cadavere del padre, appena ucciso da suo marito Lucio Tarquinio, per sostituirlo sul trono di Roma. Il genero di Servio Tullio divenne così l’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, e Tullia l’ultima regina.


Il rione Monti, più di ogni altro, custodisce le tracce della storia medioevale di Roma, grazie alle antiche chiese e basiliche, e alle affascinanti torri che si incontrano passeggiando nei suoi vicoli. Secondo il Liber Pontificalis a Roma ben 25 basiliche sorgono sopra un “titolo”. Per la Chiesa delle origini, i titoli erano i luoghi in cui i cristiani potevano riunirsi per le loro riunioni e cerimonie, all’insaputa delle autorità pagane. Prendevano il nome dal proprietario dell’edificio, spesso un magazzino o un’aula di una domus, che veniva destinato a tale scopo; finché, con la liberalizzazione delle religioni avvenuta a seguito del celebre editto di Milano del 313 d.C., questi luoghi vennero man mano trasformati nelle chiese che oggi conosciamo. All’interno del rione, le basiliche di San Clemente, Santa Prassede, Santa Pudenziana e dei Santi Silvestro e Martino ai Monti conservano livelli sotterranei che raccontano questa fase paleocristiana. 


Ma non solo. Una chiesa unica nel suo genere è Sant’Agata dei Goti in via Mazzarino, fondata nel V secolo per volere di un generale romano di origine gota. Flavio Ricimero era però un barbaro cristiano ariano e fondò la prima e unica chiesa di culto ariano di Roma. Ario (256-336) era un monaco e teologo orientale che rifiutava la “consustanzialità col Padre” sostenendo che la natura divina del Figlio fosse inferiore a quella del Padre, perciò le sue parole non potevano essere il Verbo divino. Il suo pensiero fu ritenuto eretico dal Concilio di Nicea del 325, ma nonostante ciò i suoi seguaci giunsero anche a Roma. La chiesa rimase in funzione sino alla metà del VI secolo. Quando i goti vennero sconfitti dall’esercito bizantino nel corso delle guerre gotiche, la chiesa fu chiusa al culto. Ci pensò papa San Gregorio Magno, nel 592, a riscattarla e consacrarla al cattolicesimo, dedicandola a San Sebastiano e Sant’Agata. Nei secoli fu conosciuta come Sant’Agata de Caballo (si trova sulla salita verso il Colle di Montecavallo, come veniva detto il Quirinale), sino agli anni Venti del Novecento quando Pio XI decise di recuperarne il nome originario.


    


Le torri sono un’altra delle caratteristiche di Monti. La torre dei Graziani e quella dei Capocci (ancora abitata) dominano il Colle dell'Esquilino, guardando minacciose le torri sottostanti degli Annibaldi e dei Borgia (riutilizzata come campanile della chiesa di San Francesco di Paola). La Torre dei Conti, del Grillo e delle Milizie, fecero parte di un’unica immensa fortezza posta a controllo del Quirinale contro i vicini e nemici Colonna. Sono solo alcune delle circa cinquanta torri che oggi si conservano in tutta la città e che raccontano di quando Roma veniva definita un campo di “spighe di grano” per le sue trecento torri svettanti tra i colli. Furono costruite tra il X e XIV secolo, periodo di lotte continue tra le fazioni guelfe filopapali e quelle ghibelline filoimperiali che si contendevano il potere. Probabilmente ce ne sarebbero molte di più se nel 1254 il Senatore Brancaleone degli Andalò, con l’appoggio del popolo, non avesse deciso di imporre il proprio dominio sulle famiglie baronali abbattendo ben 140 torri, cercando di porre fine alle prepotenze dei nobili.


Nel corso del medioevo Monti in realtà non era un quartiere vivace, la mancanza di acqua e di manutenzione alle fognature rendevano la zona invivibile per il popolo che si spostò più a valle, nell’area del Campo Marzio. Nel Rinascimento le cose cambiarono. Papa Gregorio XIII portò le condutture dell’Acqua Vergine e fece creare nuove arterie, come l’attuale via Merulana, la scenografica via Panisperna e il corso dè Monti, cioè via dei Serpenti. Il suo successore Sisto V completò il progetto facendo realizzare all’architetto Giacomo Della Porta la fontana di Piazza della Madonna dei Monti (1588), divenuta oggi il cuore del rione insieme alla vicina Chiesa che ne dà il nome. Sull’altare della chiesa è custodita la miracolosa Madonna dei Monti: nel 1579 degli operai dovettero fermarsi nel picconare un muro per aver sentito una voce di donna che richiamava la loro attenzione. Trovarono così il piccolo affresco della Madonna in trono col Bambino, affiancata da Santi; tra i tanti monticiani che accorsero a vederla ci fu una donna cieca che riacquistò la vista proprio davanti all’icona. La chiesa fu costruita sempre dal Della Porta, nel 1581, per ospitare la Madonna miracolosa e si presenta con la forma tipica delle chiese della Controriforma, a navata unica con cappelle laterali.



Sulla salita del Grillo spicca il seicentesco palazzo della famiglia a cui appartenne l’indimenticabile marchese Onofrio del Grillo celebrato nel film di Monicelli con superbo protagonista Alberto Sordi. Una targa all’ingresso ricorda che qui visse nel secondo dopoguerra il pittore siciliano Renato Guttuso.


Altre interessanti targhe si trovano a via Baccina n.32 e via Panisperna n.87. 



La prima venne messa nel 1949, a memoria della casa in cui trascorse l’infanzia e l’adolescenza Ettore Pretolini (1884-1936), noto attore di avanspettacolo, caricaturista e cantante. Il “roscio de li Monti”, com’era soprannominato, era noto a tutto il rione per le sue marachelle e per i suoi primi spettacoli parrocchiali che lo fecero appassionare all’arte a cui dedicò tutta la sua breve vita. E’ stato il primo a cantare le celebri “Una gita a li Castelli” (“Nannì”) e “Tanto pe cantà”, canzoni che ancora oggi rimandano a una Roma verace e sincera che ben si può respirare tra le strade di Monti. 





La seconda targa ricorda l’eccellenza italiana rappresentata da un gruppo di giovanissimi scienziati che, in un elegante palazzetto settecentesco, tenevano esperimenti sul nucleo dell’atomo che portarono a porre le basi sulla conoscenza dell’energia atomica. I ragazzi di Via Panisperna ruotavano intorno alla personalità di Orso Maria Corbini, direttore del Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma, che nel 1926 creò la cattedra di Fisica teorica appositamente per Enrico Fermi. Dal 1929 al 1938 Fermi insegnò a un gruppo composto dalle eccelse menti di Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, il chimico Oscar D'Agostino ed Ettore Majorana. Il ‘38 fu l’anno che pose fine ai loro esperimenti a causa della morte di Corbini e della promulgazione delle leggi razziali: Fermi partì per Stoccolma per ricevere il Nobel per la Fisica e non fece più ritorno in Italia, preferendo trasferirsi a New York con la moglie di origine ebraica, e così fecero anche gli altri membri del gruppo che continuarono le loro ricerche in altri paesi. La fine più misteriosa e tragica fu quella di Ettore Majorana, l’unico a scegliere di rimanere in Italia, andando a insegnare all’università di Napoli: appariva stanco e stressato, così gli amici gli suggerirono un viaggio nella sua Palermo, dove scomparve nel nulla il 26 marzo 1938 a soli 31 anni.




        



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