lunedì 23 marzo 2020

Le strade di Roma: Via Giulia

Sulla riva sinistra del Tevere papa Giulio II volle l’apertura di una strada che mettesse in comunicazione il Vaticano con uno dei quartieri più popolosi della città, in cui aveva deciso di creare un nuovo “polo” amministrativo. Un’area già caratterizzata dal palazzo della Cancelleria e dal nuovo Palazzo della Zecca, e che avrebbe dovuto ospitare anche un nuovo palazzo del Tribunale, creando così una zona sotto il controllo dello Stato e dal forte richiamo per gli affari delle famiglie romane e non.
L’ambizioso progetto fu affidato da Giulio II al suo architetto di fiducia, l’urbinate Donato Bramante. I lavori iniziarono nel 1508 e andarono avanti sino alla morte del pontefice, al quale fu dedicata con il nome di “Julia”, cioè Via Giulia. Purtroppo l’idea grandiosa del papa si mostrò difficile da essere realizzata, visti i contemporanei cantieri della Basilica di San Pietro e della Cappella Sistina che richiesero grandi spese, e a causa della morte dei due protagonisti. Bramante riuscì solo a tracciare la via e ad iniziare la costruzione della Curia, rimasta al livello delle fondamenta. Ancora oggi, dell’opera mai conclusa, restano delle tracce ben visibili e note come i Sofà di Via Giulia: blocchi di pietra piuttosto sporgenti utilizzati come panchine che deliziano la vista e il riposo di chi attraversa questa prestigiosa via.



Via Giulia è una strada lunga ben 1km e attraversa due rioni, Ponte e Regola! Non divenne mai un polo amministrativo ma tanti artisti e famiglie decisero di acquistare terreni per la costruzione dei loro palazzi gentilizi. Soprattutto divenne sede delle comunità toscane della città, fiorentini e senesi che svolgevano i loro affari proprio qui e nella vicina via dei Banchi Nuovi. 




Partendo da piazza dell’Oro, su cui si affaccia la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, si incontra un palazzo quattrocentesco noto come la Casa dei Fiorentini. Fu il papa a regalarlo alla Confraternita dei Fiorentini. Durante il suo soggiorno romano anche Leonardo Da Vinci decise di iscriversi alla Confraternita in modo da avere assicurata sepoltura e funerale in caso di morte, ma presto ne venne allontanato: non pagò regolarmente la tassa di iscrizione!
Procedendo, attira l’attenzione la facciata al n.85, dove compare la scritta ottocentesca “Possedeva Raf. Sanzio nel MDXX”. Generalmente si definisce come la Casa di Raffaello, ma in realtà il celebre pittore non vi ha mai abitato: possedeva in zona solo dei terreni, tra cui quello su cui questo palazzetto fu costruito, dopo la sua morte.    
Anche altri artisti costruirono lungo via Giulia le loro residenze, come Antonio da Sangallo il Giovane, proprietario dell'attuale Palazzo Sacchetti e lo scultore Guglielmo Della Porta che abitava al n. 163 (attuale Palazzo Cisterna). Francesco Borromini concluse la sua vita irrequieta suicidandosi nella casa di vicolo Orbitelli, nel 1667. L'orafo Benvenuto Cellini, invece, aveva la sua bottega nel vicino vicolo che da lui prenderà il nome nel XVI secolo. Sino ad allora vicolo Cellini era noto come vicolo Calabraghe, cioè "calar le braghe" a causa delle cortigiane che qui abitavano e lavoravano a costi bassi di giorno e di notte. 


Nel Seicento papa Innocenzo X decise la costruzione delle Carceri nuove in sostituzione di Corte Savella e delle carceri di Tor di Nona e Borgo. Il monopolio del sistema penale era da sempre in mano alla famiglia dei Savelli, ma le condizioni disumane in cui erano tenuti i prigionieri spinse il papa alla costruzione di una nuova struttura. Il carcere era diviso in una parte maschile, una femminile e anche un'area dedicata ai minorenni. Da questo edificio deriva la denominazione di vicolo della Scimia, dove la parola "scimia" allude ai detenuti che si affacciavano alle sbarre delle finestre proprio come delle scimmie in gabbia. L'edificio fu utilizzato sino al 1883, quando entrò in funzione il Carcere di Regina Coeli dall'altro lato del Tevere. Oggi è sede della Direzione Antimafia e del Museo Criminologico. 


Con la creazione di via Giulia, anche le chiese già esistenti vennero ricostruite e abbellite, come l'antica chiesa di San Biagio della Pagnotta. Secondo la tradizione, nella chiesa è custodita un'importante reliquia, l'osso della gola di San Biagio. Ogni 3 febbraio, giorno dedicato al Santo, i romani si radunavano per la distribuzione di pagnotte benedette da usare per proteggersi dalle malattie della gola. Nel 1826 la chiesa venne affidata alla comunità armena di Santa Egiziaca, perciò oggi è nota anche come San Biagio degli armeni.





La medievale chiesa di Santa Aurea è stata trasformata, nel 1572, nella Chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani. E' stata la chiesa nazionale del Regno delle due Sicilie, tant'è che qui furono custoditi, per un breve periodo, i resti dell'ultimo re, Francesco II e di sua moglie Maria Sofia di Baviera.     


L'imponente struttura ottocentesca del Collegio spagnolo chiude al suo interno la chiesa nazionale spagnola di Santa Maria di Monserrato (la facciata prospetta proprio su via di Monserrato). Qui si trova la tomba del papa degli scandali Alessandro VI Borgia. Più volte è stato segnalato il passaggio del suo fantasma avvolto in un maestoso mantello con cappuccio, per coprire il suo aspetto raccapricciante. Mentre era ancora in vita, un frate giurò di aver visto il papa firmare un patto con il diavolo e altri dissero di aver visto sette scimmie nere sorvegliare il suo letto di morte. Quel che è certo, è che alla morte di Alessandro VI il cadavere si gonfiò e annerì, cosicchè furono costretti a spingerlo a calci nella cassa tanto era deforme!      


La vicina chiesa di Santa Caterina da Siena fu voluta dalla comunità senese che sin dal XIV secolo abitava in questa zona nel cosiddetto "castrum senese". Il primo edificio fu costruito nel 1526, in seguito al riconoscimento dell'Arciconfraternita dei Senesi, che ancora oggi la possiede. All'interno sono esposte le bandiere delle contrade che si sfidano nel famoso palio, mentre all'esterno compare lo stemma bianco e nero con la lupa e i due gemelli, simbolo della città. 


Una delle facciate più belle che si può ammirare su via Giulia è sicuramente quella di Palazzo Falconieri. La costruzione risale agli inizi del XVI secolo con la famiglia Ceci, passò poi agli Odescalchi, ai Farnese e, dal 1638, al fiorentino Orazio Falconieri. Fu lui a chiamare a lavorare l'amico Francesco Borromini, con il compito di ampliare il palazzo. Borromini, per celebrare il proprietario, inventò le bellissime erme con busto femminile e testa a forma di falco che si vedono negli angoli. Oggi è sede dell'Accademia di Ungheria, ma nell'Ottocento fu di proprietà del cardinale Fesh che vi ospitò la sorellastra Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone Bonaparte.




A ridosso del palazzo, il prospetto della chiesa dell'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte affascina per le sue decorazioni insolite: crani con le ali e clessidre che alludono al tema della morte. Il compito della confraternita, fondata nel 1574, era di raccogliere i cadaveri senza nome nelle campagne e dargli una degna sepoltura. Sulla facciata Settecentesca di Ferdinando Fuga compare anche una particolare insegna marmorea con uno scheletro alato e l'iscrizione "Hodie tihi cras tibi", cioè "Oggi a me, domani a te": un vero e proprio memento mori.




Siamo arrivati davanti al celebre Arco Farnese, ciò che resta del grandioso progetto michelangiolesco di collegare le proprietà dei Farnese sulle due sponde del fiume.




Durante il carnevale, l'Arco diveniva una tribuna per assistere alle corse che si svolgevano lungo la via. Oltre l'arco restano degli edifici bassi cinquecenteschi, detti i Camerini farnesiani, che oggi appartengono all'ambasciata di Francia e, di fronte, il cancello che chiude ciò che resta del vasto giardino del nobile Palazzo Farnese.


La fontana del Mascherone in origine si trovava in fondo alla via, davanti ad un palazzetto voluto da Sisto V nel 1586 e che funzionava da Ospizio dei Mendicanti. Per il suo andamento rettilineo e la presenza di famiglie importanti, lungo via Giulia, si organizzavano spesso corse e feste. Nel 1720, ad esempio, si tenne un gran corteo e una splendida festa, con la via tutta addobbata, per celebrare l'elezione a Gran Maestro del Priorato di Malta del nobile Zondadari: dal tramonto all'alba del giorno dopo dalla fontana sgorgò pregiato vino rosso, per la gioia di tutti i romani!




La fontana fu spostata nel 1903 e il palazzetto abbattuto con l'apertura del Lungotevere, modificando così per sempre l'aspetto cinquecentesco della via.

Il rione Monti: storia e curiosità