giovedì 14 maggio 2020

Caravaggio e la Cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi


Quando Caravaggio arrivò a Roma intorno al 1592, era solo un giovane pittore in cerca di fortuna nella capitale della cristianità. Si avvicinava il giubileo del 1600 e tanti erano i cantieri aperti e le possibilità di lavoro. Tra i cantieri da portare a termine c’era anche la chiesa di San Luigi dei Francesi. 

Nonostante fosse stata consacrata nel 1589, non tutti i proprietari avevano terminato le loro cappelle come nel caso del cardinale francese Mathieu Cointrel.
Cointrel, italianizzato come Matteo Contarelli, era stato un grande mecenate; aveva finanziato la costruzione della stessa chiesa e comprato una cappella per sé stesso. Tanti erano però i dubbi sulla provenienza della sua ricchezza, viste le origini umili della sua famiglia. Quando Contarelli morì nel 1585, papa Sisto V fece aprire un’inchiesta e scoprì che il cardinale, a capo della Dataria apostolica, aveva utilizzato in maniera piuttosto disinvolta il denaro che gestiva. Fu un vero e proprio scandalo, messo a tacere due mesi dopo dal papa stesso che, probabilmente, non volle inimicarsi ulteriormente l’ambasciatore francese.
Contarelli aveva lasciato, nel testamento, indicazioni ben precise sulla decorazione della cappella e sull’uso del suo denaro, ma gli esecutori testamentari e il pittore Giuseppe Cesari (subentrato a Girolamo Muziano nel 1591) sembravano presi da altri interessi e il lavoro languiva. 
Si arrivò al 1599 e nella cappella c’erano ancora le impalcature e le pareti vuote, così i prelati francesi iniziarono a premere per avere la chiesa completa per il Giubileo dell’anno successivo. Cesari era troppo occupato con il lavoro nella Basilica di San Pietro, perciò si cercò un altro artista in grado di completare le decorazioni mancanti in poco tempo. 

Il cardinale Francesco Maria del Monte, potente ambasciatore del Granducato di Toscana, residente nel vicino palazzo Madama e amico di Virgilio Crescenzi, l’erede di Contarelli, propose il suo protetto, Michelangelo Merisi da Caravaggio


Fu un’occasione da non perdere. Caravaggio si mise subito al lavoro, aveva a disposizione meno di cinque mesi per realizzare due dipinti!
In più, per la prima volta si trovò a dipingere tele di grandi dimensioni e le difficoltà non mancarono. Le indagini radiografiche sulla prima tela dipinta, Il Martirio di San Matteo, hanno mostrato almeno tre ripensamenti della composizione. Nella prima versione, più classica e legata al manierismo, sul fondo c’era il prospetto di un tempio e il soldato era in primo piano quasi a coprire la figura del Santo nel momento dell’uccisione. Nella seconda, i gesti dei personaggi erano più netti e forti. La terza versione è quella che vediamo e che nasconde le altre. Di Caravaggio infatti non si conoscono disegni, lavorava direttamente sulla tela: sulla preparazione tracciava dei segni con la parte dura del pennello per definire le posizioni dei personaggi e quindi li dipingeva, partendo da una base chiara che man mano scuriva. Un metodo sicuramente unico e rivoluzionario per l’epoca!


Secondo la tradizione, San Matteo venne martirizzato mentre diceva messa, così Caravaggio lascia sul fondo l’altare, lo veste con i paramenti liturgici e lo sdraia sul bordo di una fonte battesimale, mentre alza il braccio destro per raggiungere la palma che gli viene concessa dall’angelo che per lui si “affaccia” dai cieli, sporgendosi da una corposa nuvola. Il gesto di San Matteo è bloccato dal suo aguzzino coperto solo con un panno sulle parti intime, così come i suoi aiutanti dai corpi ben torniti, per i quali Caravaggio guardò al Michelangelo della volta della Cappella Sistina. Intorno si dispiegano altri personaggi, fedeli presenti alla celebrazione, ma solo un ragazzo fugge spaventato; tutti gli altri assistono all’evento con i loro bei abiti, precisamente dipinti. L’uso di rendere contemporanee scene antiche con l’espediente degli abiti moderni, era molto diffuso e serviva a rendere le immagini più comprensibili ai fedeli che riuscivano a immedesimarsi meglio nel dolore vissuto dai martiri. Ma bisognava fare attenzione. Al tempo della Controriforma, anche l’abbigliamento era soggetto a regole severe, aveva un significato, come l’appartenenza a una precisa fazione politica (tendenzialmente francese o spagnola), perciò Caravaggio dovette pensare che era meglio vestire gli aguzzini “all’antica”.
Sul fondo, il volto di un giovane emerge dal buio e ci guarda dritto negli occhi: è l’autoritratto dell’artista che ci richiama alla nostra responsabilità, ad osservare la tragica morte/esempio di un martire. 



Il secondo dipinto è La Vocazione di San Matteo. In una stanza anonima un gruppo di uomini siede intorno a un tavolo, intenti a contare le monete raccolte durante la giornata da esattori delle tasse. Un giovane e un anziano siedono a sinistra e continuano nella loro occupazione, mentre gli altri sono stati distratti dall’ingresso di due “estranei”. A destra, entrano in scena San Pietro e Gesù, abbigliati come due pellegrini, che rivolgono la loro attenzione all’uomo con la lunga barba, indicandolo. Quel gesto viene ripetuto dallo stesso Matteo che lo rivolge verso se stesso: non è un gesto qualsiasi, ma si tratta di un altro omaggio a Michelangelo e alla famosa scena della Creazione dell’Uomo, con la mano di Adamo che cerca di avvicinarsi a Dio. Anche in questo caso è nascosto un ripensamento: San Pietro è stato dipinto in un secondo momento per coprire la figura di Gesù, così da rendere l’immagine meno immediata e costringere lo spettatore ad addentrarsi nel dipinto, ad osservare bene sguardi e movimenti per comprendere appieno i vari ruoli.
Accanto a Matteo un giovane guarda strafottente i due “estranei”: ha il volto di Mario Minniti, un artista amico di Caravaggio e più volte usato come modello. Il giovane che siede di fronte, invece, si volta di scatto spaventato, con la mano sinistra pronta a sguainare la spada per difendere l’incasso della giornata. Sembra una scena di genere piuttosto che un dipinto sacro! Una di quelle scene che spesso finivano in rissa nelle locande frequentate dall’artista. 
Caravaggio aveva un carattere ombroso e iracondo, andava in giro armato, era sempre pronto a difendersi o a colpire in caso di qualche sgarbo, come testimoniano i verbali di polizia degli anni del soggiorno romano.


L’ultima opera della Cappella Contarelli, venne commissionata solo nel 1602. Secondo le volontà del cardinale, sull’altare fu inizialmente collocata una statua di San Matteo realizzata dallo scultore fiammingo Jacob Cobaert. Nel 1602 la scultura era ancora incompleta, priva dell’angelo (fu aggiunto in seguito da Pompeo Ferrucci). Il Crescenzi decise allora di modificare il progetto. La statua fu portata nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini e chiese a Caravaggio di realizzare una tela. 
Quando il San Matteo con l’Angelo venne collocato al suo posto, sull’altare della Cappella, la congregazione di San Luigi gridò allo scandalo: San Matteo sedeva con le gambe accavallate mostrando in primo piano il piede nudo e sporco, con l’angelo che gli teneva la mano indirizzandolo nella scrittura del Vangelo. L’immagine fu considerata troppo cruda e umile; l’Evangelista era troppo simile a un rozzo pellegrino analfabeta. Così Caravaggio fu costretto a realizzare una seconda versione in cui il Santo ha l’aspetto di un filosofo e si volta verso il bellissimo Angelo, ancora in volo, che gli detta le Scritture gesticolando, secondo i modi dell’ars retorica. San Matteo è in piedi ma poggia il ginocchio su uno sgabello in bilico sul bordo del dipinto, dando un tocco di spontaneità. Questo secondo dipinto fu ben accolto, mentre l’altro fu venduto e finì nella collezione del marchese Vincenzo Giustiniani, dirimpettaio del Del Monte. Nel 1815, gli eredi vendettero l’opera al Kaiser Museum di Berlino, dove finì perduto per sempre a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.


















C’è una caratteristica che accomuna queste opere ed è l’uso della luce. Caravaggio studiò l’illuminazione reale della cappella, che avviene per mezzo di una grande finestra sulla parete dell’altare. Risulta comunque poco illuminata a causa dell’incombenza dell’imponente Palazzo Madama all’esterno. Il pittore considerò questo dettaglio e fece in modo che la luce nei suoi dipinti provenisse da quella finestra, come fosse un raggio divino. Una luce protagonista, significativa, calda e avvolgente, che colpisce i dettagli più importanti, come il gesto dell’aguzzino nel Martirio e i volti e le mani dei Santi nella Vocazione, lasciando il resto nella penombra. Fu questa la grande rivoluzione dell’artista milanese: sfondi neutri e forti contrasti luminosi che drammatizzano la scena e consentono di concentrare l’attenzione su pochi elementi descritti realisticamente. 

La Cappella Contarelli fu la rampa di lancio della carriera di Caravaggio. Da quel momento la pittura non fu più la stessa e lui divenne uno dei pittori più richiesti e più imitati della sua epoca.

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